TERRITORIO

 

I CASTELLI & LE FAVOLE

 

 

 I CASTELLI DEL DUCATO 

Il Parmense è ricco di castelli medioevali. In queste pagine non si vuole descriverli e nemmeno elencarli, lasciando questa incombenza al bellissimo sito web www.castellidelducato.it dove è possibile trovare esaurienti notizie, fotografie e aggiornamenti sugli eventi e manifestazioni che continuamente, nell’ arco dell’anno, vengono organizzati.

 

Si vuole qui citare in particolar modo tre castelli che si trovano nella val Ceno:

      -          Casello di Varano de' Melegari;

      -          Castello di Bardi

      -          I ruderi del Castello di Roccalanzona

 

       Castello di Varano dè Melegari                                      Castello di Bardi                                                  Castello di Roccalanzona

 

Per la vicinanza al bed and breakfast e per un leggero, quanto duraturo legame che ha mio marito nei confronti dei ruderi del castello di Roccalanzona, si vuole, a quest' ultimo,  dedicare qualche riga in più e non solo.              

                 

 

 

 

 CASTELLO  DI  ROCCALANZONA 

Premesse

Il castello dista dal  bed and breakfast 2 km circa.  I resti si ergono su uno sperone roccioso di ofiolite nera ricoperto da un bosco di quercioli. Dalla sommità si spazia su tutta la pianura emiliano - lombarda e, nelle giornate limpide, l’orizzonte a nord è delineato dalle montagne innevate delle Alpi.

Arrivarci dal bed and breakfast, è una passeggiata facile e gradevole; si  può arrivare nelle vicinanze anche in auto e poi percorrere gli ultimi 500 metri a piedi, oppure, se si dispone di un fuoristrada, si può arrivare al castello ancora più velocemente.

 

 

 

Mio marito dice di esserci andato da bambino tantissime volte e allora come adesso quando sale ai ruderi è pervaso da un senso di timore e mistero.

Il legame del Castello  col territorio è forte, tutti nei dintorni lo conoscono bene. Mia suocera dice che lei da ragazza, come tutti i ragazzi e le ragazze di Viazzano, la notte del 23 giugno di ogni anno andava sino al castello a”ciapèr la rusèda”.

Questa antica tradizione vuole che nella notte precedente il giorno di S. Giovanni (24 Giugno), si rimanga alzati fin dopo la mezzanotte per ”ciapèr la rusèda” (prendere la rugiada) che si pensava, e forse si pensa ancora oggi, avesse effetti benefici sulla salute e sui sentimenti “in grado di curare tutti i mali e far nascere nuovi amori”.

L’origine del rito è antica, probabilmente di origine celtica, i quali nella notte più corta dell’anno che corrispondeva al solstizio d’estate, festeggiavano con fuochi e riti di iniziazione l’apoteosi della  vittoria della luce sulle tenebre.

Il legame invece che unisce la rugiada a S. Giovanni deriverebbe dall’ analogia tra il sangue versato dal Santo, che nella serata prenderebbe le sembianze di rugiada, che bagnando il corpo di chi si trova all’ aperto in quella sera ne regalerebbe i vantaggi e benefici.

Nella tradizione popolare varanese e parmigiana l’influsso della rugiada pere sia indispensabile per la conservazione delle erbe officinali raccolte per l’essiccazione (camomilla, malva, menta, timo) e soprattutto per la buona riuscita del “Nocino” un liquore fatto con le noci che mai possono essere raccolte prima di aver preso la rugiada di San Giovanni.

 

 

Un poco di storia 

Il castello, costruito probabilmente intorno al X secolo, compare per la prima volta in un documento del 1028 dove era elencato fra i possedimenti di Ildegarda, moglie del nobile longobardo Odone, venduti al rettore della chiesa di San Pietro di Paderna; nell'atto si parla di "Rocha Petraluizoni cum portione castro et Capella seu tutti ibi habente", a testimonianza dell'esistenza di un luogo di culto presso il maniero, demolito nel 1739.

Nel 1043 tutte le terre, che comprendevano anche i borghi di Vianino e Viazzano, furono donate al monastero di San Savino di Piacenza

Successivamente il castello fu a lungo conteso fra i Pallavicino e i Vinciguerra di Varano de' Melegari, sino a che, nel 1418Giacomo de' Rossi, già vescovo di Verona e arcivescovo dei Napoli, lasciò nel suo testamento una donazione in denaro alle due famiglie rivali affinché il maniero fosse assegnato ai Rossi.

Il castello divenne quindi feudo di Pier Maria I de' Rossi, che lo chiamò "Rocha Leone" con chiaro riferimento al leone rampante, stemma della sua famiglia.

Nel 1464 Pier Maria II Rossi assegnò nel suo testamento il castello di Roccalanzona al figlio Guido che, tuttavia, non ebbe modo di esercitare la sua signoria sul castello. Morto infatti il padre nel 1482 nel pieno del conflitto che vedeva opporsi i Rossi agli Sforza, Guido prese il comando delle guarnigioni rossiane trovandosi però con la maggior parte delle fortezze assediate. Il castello di Roccalanzona subì un primo assalto da parte di Niccolò Pallavicino, alleato degli Sforza; fallito il primo tentativo, seguì quello di Sforza Secondo Sforza , che, fresco vincitore delle difese del vicino castello di Carona, diresse le sue truppe sul castello di Roccalanzona. Lo Sforza tuttavia, nonostante l'impiego di bombarde, non riuscì ad avere la meglio sui difensori e fu quindi costretto a ritirarsi dopo aver incendiato come rappresaglia alcune case del borgo.

In seguito alla definitiva sconfitta di Guido de' Rossi, il castello fece atto di sottomissione al fratello e rivale Bertrando, conte di Berceto, che morì senza eredi nel 1502; i suoi feudi furono ereditati dal nipote Troilo e furono aggregati ai territori dei Rossi di San Secondo.

Nel 1635 il duca di Parma Odoardo I Farnese bandì dallo Stato il marchese Troilo IV de' Rossi e confiscò tutte le sue terre; nel 1657 il fratello Scipione I riuscì con l'aiuto del re Filippo IV di Spagna a convincere il duca Ranuccio II ad annullare il decreto del 1635, a fronte tuttavia di un pesantissimo indebitamento.  Nel 1666 il marchese Scipione I de' Rossi fu costretto a cedere Roccalanzona e gli altri feudi appenninici alla Camera ducale di Parma; già allora il castello si trovava in condizioni rovinose, con le mura interne ormai fatiscenti.

Nel 1692 la Camera ducale cedette il maniero alla famiglia Ercolani della Rocca di Senigallia, che però non si occupò mai di restaurarlo, tanto che già nel 1804 era ridotto a pochi ruderi.   

 

Architettura 

Dell'antico castello, raffigurato nel 1463, epoca del suo massimo splendore, da Benedetto Bembo nella Camera Aurea del castello di Torrechiara, oggi restano soltanto alcuni ruderi sulla cima dello sperone di roccia ofiolitica, in posizione panoramica sulla val Ceno.

In posizione impervia, il maniero aveva originariamente dimensioni ragguardevoli; se ne conservano infatti le rovine sparse su un'area piuttosto vasta. Dal complesso emergono i resti del grande mastio a pianta rettangolare, da cui si allungano le basi delle antiche mura, ricche di feritoie; parzialmente integro è inoltre un ambiente interno coperto da soffitto a volta, affacciato verso l'esterno attraverso una balestriera 

 

 

LA LEGGENDA DI PIETRACORVA 

Pietra Corva è uno sperone di roccia nera ofiolitica con pareti a strapiombo,   posto   poco   distante   dal   castello   di   Roccalanzona

Si raccontava,  durante la  veglia del “ filoss” (quando  di  sera c’era freddo  e la  gente stava  nelle stalle  per riscaldarsi) nelle case o nelle stalle  dei vicini, che  una bellissima fanciulla, che abitava il castello di  Roccalanzona,  si  fosse tantissimo  innamorata di un  giovinotto  di  Gallicchiano,  (località  poco  distante  dal  vicino  castello  di  Riviano) che  portava  a  pascolare  le  sue pecore  vicino  a  Pietra  Corva.

Per quei tempi non era assolutamente permesso che un pastorello alzasse gli occhi su una fanciulla nobile e bella, tanto più che essa apparteneva al casato dei Rossi di San Secondo, eterni nemici dei potenti Pallavicino, feudatari di Varano e di Riviano, cui apparteneva Gallichiano.  

Narra  la leggenda  che  essi  si siano gettati, uniti, giù dall’altissima rupe di Pietra Corva  per  sottrarsi  agli  odi  domestici  e alla feudale prepotenza  di chi  li  voleva disgiunti  e che, nelle calde notti d’estate quando la luna è piena ed ha l’alone intorno, si vedono aleggiare nel cielo due bianchi veli che,  dopo essersi posati dolcemente su Pietra Corva, quasi ad abbracciarla, spariscono nel nulla, scivolando insieme dietro la nera rupe.

 

 

 

 

 LA LEGGENDA DEI SETTE PRINCIPI E LA PRINCIPESSA 

A differenza della precedente leggenda  che si trova in  diverse recensioni sia  su internet che sui libri, questa che vi racconto non l’ho mai letta da nessuna parte;  questa storia me la  raccontò  mio marito un pomeriggio  di inverno  quando  stavamo girovagando tra i boschetti ai piedi del Castello di Roccalanzona, alla visione di una strana roccia e, come una bambina, l’ho sempre ricordata.

Giovanni mi diceva che sua nonna, morta quando lui era ancora un bambino, gli raccontava vecchie storie fantastiche di quelle che piacciono ai bambini, o meglio che piacevano ai bambini di una volta, con principesse e cavalieri, maghi buoni e cattivi, streghe e fate, gnomi e folletti, tutti in lotta tra il bene e il male; tra queste favole si ricordava di una storia senza nome, che io ho ribattezzato 

 

“La leggenda dei sette principi e la principessa”.

 

Tanto, tanto tempo fa vivevano nel bel castello di Roccalanzona sette principi e una piccola principessa;  quest’ultima amava giocare tutto il giorno con gli aquiloni sospesi dal vento, che sempre spirava lungo il crinale che divideva la vallata del torrente Dordone con la val Ceno e su cui sorgeva il castello, mentre i sette principi giocavano fra di loro combattendo con le spade.

Un giorno una strega cattiva, che male sopportava la tranquillità e la felicità che regnava al castello, decise di rapire la piccola principessa.

Del fatto ne venne a conoscenza il re che preoccupatissimo ordinò ai principi di sorvegliarla e proteggerla giorno e notte.

I giorni passavano e nulla accadeva. Ahimè, cosa c'è di più difficile! Rinunciare a giocare per seguire giorno dopo giorno e ora dopo ora la sorellina, oppure divertirsi ? I mesi passavano uno dopo l'altro senza nulla succedere e l’attenzione diminuiva inesorabilmente.

Così un bel giorno mentre la principessa seguiva il suo bellissimo aquilone e i principi sonnecchiavano stanchi all'ombra di una grossa quercia, un alito di vento più intenso del solito sospinse l'aquilone lungo i pendii della vallata, in quel mese coperti dai fiori gialli delle ginestre.

La principessa non voleva di certo perdere il suo aquilone, ma nemmeno riusciva a trattenerlo e così, cercando di tenerlo per la lunga corda, si allontanò pericolosamente dai sette principi.

Questo era il momento atteso dalla strega cattiva che subito inviò sette cavalieri neri a rapire la piccola.

Alla vista di quei sette soldati neri a cavallo la principessa iniziò ad urlare fortissimo; le grida arrivarono ai principi i quali, percependo il pericolo incombente sulla  principessa si gettarono a capofitto lungo la collina, ma arrivarono tardi; sul posto del rapimento non c'era più nessuno.

Non sapevano più né cosa fare né dove andare.

Il Castello fu coperto da nuvole di tristezza; la regina piangeva tutto il giorno e il re non sapeva a che santo rivolgersi.

Fu il principe più giovane che prese allora l'iniziativa   e convinse i suoi  fratelli a seguirlo, senza una meta, alla ricerca della sorellina: meglio partire che stare ad aspettare.

Ora al castello mancavano anche i sette principi e i mesi trascorrevano lenti e cupi, senza alcuna notizia.

I sette principi vagarono per le campagne e le colline sino a quando dopo mesi e mesi di ricerche un vecchio viandante indicò loro un monte in cui viveva una strega e da dove provenivano,  nelle notti serene di luna piena, tristi lamenti; quei lamenti sembravano di una bambina che piangeva, ma sembrava anche che col passare dei giorni divenissero sempre più fiochi. Nessuno nella vallata aveva mai osato andare a vedere e nemmeno informarsi, perché la strega tutto sapeva e vedeva. e poteva uccidere con un solo sguardo chi si interessava troppo delle sue cose.

I sette principi capirono subito che si trattava della loro sorellina: dovevano fare presto.

Ma come fare a vincere i sette cavalieri neri e lo sguardo della strega?

Fu ancora il principe più piccolo a trovare il modo per riuscire nell’ impresa.

Dovevano entrare nel castello. Raccontò la triste storia al vecchio viandante e lo  convinse a presentarsi davanti la porta del castello della strega. Per fare tutto questo però dovevano aspettare un giorno in cui la strega non fosse nel castello, ad esempio uno di quei giorni quando  si recava nei boschi in cerca di erbe magiche.

I sette cavalieri neri quando videro il vecchio che bussava al castello rimasero stupiti di tale novità e audacia e aprirono la porta per catturalo e poi ucciderlo.

Fu quello che i sette principi aspettavano; con una velocità da fare invidia ad un falco piombarono sui sette cavalieri neri, ne uccisero cinque e ne ferirono due a morte; salirono nella stanza più alta della torre dove liberarono la principessa e poi via di corsa verso casa lasciando solo il tempo alla principessa di prendere la spazzola e lo specchio che usava per pettinare i suoi biondi capelli.

Quando la strega tornò i due cavalieri in fin di vita le raccontarono che erano stati assaliti da sette ragazzi con le spade; la strega capì subito casa era accaduto; non ci pensò nemmeno un attimo. Con  le erbe raccolte nel bosco curò i due cavalieri feriti e poi con una parola magica si alzò nel cielo e volò sicura verso il castello di Roccalanzona.

I principi con la sorellina sapevano che la strega li avrebbe rincorsi e avrebbe fatto di tutto per ucciderli e quindi dovevano fare presto, ma loro non potevano volare e il castello era lontano.

La strega li cercava  in ogni angolo della terra, ma niente. Arrivata nei pressi di un lago, interrogò col suo sguardo torvo e assassino le acque le quali,  non potendo rifiutarsi di rispondere, la informarono che dei ragazzi erano passati tre giorni prima e si stavano dirigendo al castello di Roccalanzona.

La strega volò allora ancora più veloce e trovò i sette principi e la principessa poco lontano dal castello; anche i principi si accorsero dell’arrivo della strega  e si rifugiarono in un piccolo e folto bosco situato su una collinetta che a ovest presentava un profondo dirupo.

La strega volteggiava sopra quel bosco impenetrabile,  ma volando non poteva entrare  per la fitta vegetazione, nemmeno lanciare lo sguardo; attendeva l’arrivo dei due cavalieri neri che una volta arrivati  avrebbero costretto i fratelli a uscire dal  bosco.

La strega volteggiava incessantemente sulla collinetta e soprattutto lungo il dirupo perché era quella la parte dove le sarebbe stato più facile scorgere i principi con la principessa.

I ragazzi avevano paura, la strega volteggiando emetteva uno strano e terribile sibilo;  immaginavano anche che sarebbero arrivati i due cavalieri neri rimasti feriti.

Guardando la principessa che si stava pettinando, al principe più giovane venne un’ idea geniale quanto pericolosa.

Chiese lo specchio dalla principessa, si portò sul bordo del precipizio e urlò a squarciagola ”Strega se davvero sei così forte vieni a prendermi, se sei capace !”

La strega non se lo fece dire due volte, arrivò in un batter baleno davanti al precipizio, guardò il principe che tremava come una foglia al vento e gli lanciò negli occhi lo sguardo malefico.

Il principe si coprì allora il volto con lo specchio e così facendo lo sguardo della strega venne riflesso e andò a colpire  la strega stessa.

Il cielo si oscurò di colpo, tuoni e lampi senza pioggia riempirono l’aria, la strega accecata non riusciva più a controllare il  suo volo e roteando sempre più forte andò  a sbattere nel bosco contro una roccia affiorante. Cercò di rialzarsi, riuscì quasi a mettersi seduta, ma le sua carni piano piano si tramutarono in pietra e diventò un tutt’ uno con quella roccia affiorante.

I sette principi e la principessa allora salirono di corsa sui loro cavalli e raggiunsero il castello di Roccalanzona che, come detto, era ormai vicino.

La festa fu grande,  tornò la felicità nel castello e tutti vissero felici e contenti.

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Come ho detto sopra non so se questa storia era una favola inventata dalla nonna di mio marito o una favola conosciuta nella vallata, ma quando l’ho sentita per la prima volta mi ha emozionato facendomi tornare alla mente favole simili che anche in Russia raccontavano.

 

Un fatto strano è che la collinetta col bosco e con lo strapiombo, appena sotto il castello di Roccalanzona, esiste per davvero; l’abbiamo trovata un giorno di inverno quando le piante sono spoglie, e ancora più strano e magico è che nel bosco c’è una strana  roccia con sembianze umane.